SALONE

Lo spaesamento prosegue nel salone dove si trovano le proposte concrete di Agape, ovvero Agape gioca in salone un ruolo attivo, diventa soggetto propositivo e partecipativo.

La prima proposta è che tutte le esperienze che hai incontrato nella chiesa all’aperto coesistono nello stesso spazio. Non devi subito scegliere, schierarti.

Ti viene offerto uno spazio dove tutto può e deve convivere, dove devi reggere il confronto con tutte queste diversità. Dove proviamo a creare una comunità. Dove ci serviamo l’uno con l’altra attraverso gesti concreti.

In questo spazio impariamo a stare, a fermarci, a sostare. Impariamo a sostare nel disaccordo, nei punti di vista – per poter dire che so-stare nelle contraddizioni.

Da qui, dal so-stare nelle contraddizioni, (o almeno le ho viste!), impariamo a lavorare per spiegare il nostro punto di vista in un modo che sia rispettoso dell’altrui ed eventualmente per cercare di costruire il consenso.

Impariamo a partecipare, a parlare in gruppo.

La magia del salone è stata definita “un miscuglio di avventura culturale e di vissuto emotivo e relazionale”1. Così impariamo a partecipare in un modo che coinvolge l’intera persona, e non solo la testa, ma anche e soprattutto le emozioni, veicolo per conoscere se stesse/i.

Il simbolo in salone è il chi ro, il monogramma di Cristo, che in questa mappa significa non delegare ad altre persone la mediazione con il mondo. Partecipa e parla.

Saper parlare in gruppo è uno dei risultati più concreti di Agape, che tutti e tutte ci portiamo nella nostra vita personale e lavorativa. E che si impara in pochi altri luoghi.

Nel salone o nella chiesa all’aperto si svolge anche il culto, uno dei momenti in cui il bailamme si cheta, l’incontro è arricchito da una parola che viene da lontano, dal passato o dall’alto, e che è pronunciata da persone che testimoniano di un pensiero, di un’esperienza, di un’emozione altra. Nelle storie che ci hanno preceduto e nella nostra, possiamo riconoscere la passione di Dio a raccontarsi.

Questa parola, profondamente intrecciata nelle vite personali, qui è capace di proporsi come uno dei punti di vista possibili, affinché si possa realizzare l’ecumenismo, affinché ognuna/o possa dire / testimoniare con convinzione la propria spiritualità o la propria assenza.

L’assenza di delega per la mediazione con il mondo vale anche per Dio. A noi viene chiesto di porci la domanda della spiritualità, di porci le nostre domande, le mie e le tue. E se non ne hai, questa oggi è la tua risposta.

Infine, così come dedichiamo tempo durante la preparazione di un campo ai metodi per favorire la partecipazione e il racconto, così potremmo dedicare tempo a riflettere su come la staff essa stessa partecipa al campo: chi tiene sempre il microfono, chi si orienta sulle serate, chi prepara sempre il culto, chi raccoglie confidenze.

 Campo dopo campo, vivo come staffista ancora questo luogo come spazio di crescita, mi sperimento in ruoli diversi, chiedo a me stessa quanto chiedo ai partecipanti, di stare, partecipare e raccontare?

Il campo formazione riesce ad essere lo spazio per chi conduce i campi di sperimentare di nuovo e di nuovo questo percorso in prima persona?