Il sogno di Vinay trovò la migliore concretizzazione grazie a Leonardo Ricci, fra i migliori esponenti italiani dell’architettura moderna del secondo dopoguerra.
In Agape, il lessico moderno evoca più di un riferimento, ed è impiegato in una sintassi tutta originale, che risolve le strutture e gli spazi. Questi ultimi sono concepiti non per essere semplicemente ‘abitati’, ma perché divengano architettura dalla fruizione, dalle diverse relazioni che li percorrono, secondo la definizione ricciana di spazio come qualcosa che si genera “dall’uso che se ne fa”.
L’unica concessione all’elemento locale è l’utilizzo dei materiali del luogo, di per sé principio della cosiddetta ‘architettura organica’, mentre la ripresa di alcune morfologie alpine rientra totalmente all’interno di una reinterpretazione, così come proposta all’epoca da nomi quali Mollino, Ponti. Non esiste una centralità, lo stesso salone ‘centrale’ propone polarità diverse a seconda del suo utilizzo nei diversi momenti della giornata: luogo di riunione, ma pure refettorio, spazio di gioco, che ha la sua continuità ideale e materiale nella ‘chiesa’ all’aperto, uno spazio delimitato, raccolto, versatile nelle possibilità di utilizzo, seguendo una costante ambiguità fra spazio esterno e interno, che rompe il perimetro murario attraverso passaggi, continuità visuali, le ampie finestre.
L’intero organismo costruito sembra posto a riparo di un percorso che sale delle scalinate esterne e sale fino alla terza casetta,
proseguendo poi lungo la costa della montagna, ricalcando le assialità generate dai movimenti e dalle fruizioni del vero elemento di centralità: la dimensione umana nella sua declinazione comunitaria.
“Tullio Vinay, Leonardo Ricci: progettare l’Agàpe”
In occasione del settantesimo anniversario di Agape, è stata organizzata la mostra “Tullio Vinay, Leonardo Ricci: progettare l’Agàpe” per sottolineare la relazione tra il pensiero di Vinay, il paesaggio e l’architettura di Ricci come unicum omogeneo. Ecco i testi della mostra.
1.Tullio Vinay, Leonardo Ricci: progettare l’Agàpe
“Costruire un villaggio alpino, chiamato Agàpe-amor fraterno – che d’estate e d’inverno possa ospitare molti giovani d’ogni luogo per convegni e campi. Che fra le rocce dei nostri monti che han conosciuto le brutture della guerra, AGAPE sia l’effige dell’amore vero…” Tullio Vinay
Le lacerazioni della seconda guerra mondiale permangono nelle comunità delle giovani generazioni d’Europa che, al termine del conflitto, spaventate e disorientate, hanno voglia di ricostruire corpo e spirito dopo una tragedia così grande. Nel contesto della rinascita sociale, spirituale e politica si colloca la realizzazione dell’Agàpe, ovvero dell’amore di Dio. Agàpe che da teoria diventa forma costruita con il progetto ideato dal teologo e pastore valdese Tullio Vinay e dall’amico architetto Leonardo Ricci.
“Agàpe è dunque sorta come segno e possibilità di un mondo diverso da quello insanguinato e devastato dalla seconda guerra mondiale – scrive Vinay – e di una umanità diversa da quella violenta e rapace, fanatica e omicida, manifestatasi nel corso del nostro secolo in tante situazioni e in tanti diversi contesti storici ed ideologici”. Proprio l’aspetto umano guida Vinay nell’elaborare l’idea progettuale di fondare un centro ecumenico per la riflessione teologica nel territorio di Prali, nelle Alpi Cozie in Alta Val Germanasca.
“Prima di diventare progetto Agàpe si è manifestata come vocazione – scrive Paolo Ricca – cioè come appello perentorio al quale non ci si può sottrarre, come intimazione divina che piega la volontà umana e la trascina in una avventura della fede[…]”. Un progetto che ha visto la partecipazione di volontariɜ che ricercavano una nuova dimensione spirituale mettendosi al servizio della comunità, per costruire qualcosa da condividere oltre la fede. Per raggiungere questo obiettivo Vinay ha affidato l’incarico di costruire Agàpe all’amico Leo Ricci, architetto romano che operava a Firenze. Così nel giugno del 1947 inizia ad arrivare il primo nucleo di quaranta giovani volontariɜ da tutta Italia, e successivamente moltɜ altrɜ da tutto il mondo, che in soli quattro anni, con enormi difficoltà logistiche, di mezzi e denari, riescono a portare a termine il lavoro.
Agàpe viene inaugurata il 12 agosto 1951!
Oggi festeggiamo i settant’anni dalla sua fondazione con questa mostra a cura di Emanuele Piccardo e Andrea Sbaffi che vuole ripercorrere la storia di Agàpe, legando insieme il pensiero di Vinay, il sito paesaggistico e l’architettura di Ricci come un unicum omogeneo, testimonianza di una riflessione spirituale ancora oggi attuale. Emanuele Piccardo, Andrea Sbaffi.
2. Dopoguerra e riconciliazione
“Agàpe non risponde forse a un desiderio vivo e profondo della gioventù d’oggi, sorta fra due guerre mondiali, che ha visto ogni bruttura ed ogni tribolazione, di porre fine a tutte le barriere, di por fine agli odii, ai rancori, al fango del peccato, per scrivere nel monumento d’amore di Prali una parola che segni l’inizio di una vita nuova?” Tullio Vinay
L’idea della nascita di Agàpe scaturisce dal grande fermento che ha investito l’Europa al termine della Seconda Guerra Mondiale: le istanze di ricostruzione non riguardavano solo il territorio e le città devastate dal conflitto, ma soprattutto il tessuto sociale e il delicato sistema delle relazioni.
In questo quadro, un ruolo fondamentale fu quello delle giovani generazioni, per cui la “sete del nuovo”, come definita dallo stesso Vinay, fu la forza scatenante da contrapporre alla tragica esperienza della guerra appena terminata. Moltɜ giovani della Chiesa valdese, e non solo, avevano partecipato alla Resistenza o subito deportazione e confinamento; inoltre, le organizzazioni giovanili avevano dovuto interrompere, a causa della guerra, i rapporti con gli organismi internazionali, in gran parte appartenenti alle nazioni che combattevano i regimi nazi-fascisti. Agàpe si concretizza, quindi, come una vocazione, una chiamata per lɜ giovani di tutta Europa a rimboccarsi le maniche e costruire non solo un luogo fisico dove incontrarsi, ma soprattutto uno spazio di confronto, di elaborazione e di concreta condivisione di un “nuovo” modello di società e di relazioni interpersonali.
3. Tullio e Leo
L’amicizia tra Tullio Vinay e Leonardo Ricci nasce a Firenze dove entrambi vivevano: il primo era il pastore valdese della città, il secondo insegnava alla facoltà di architettura. Ricci si laurea nel 1942 con Giovanni Michelucci, padre dell’architettura toscana, elaborando il progetto di un teatro, tema caro anche al suo maestro. Come sottolinea Giovanni Bartolozzi in Leonardo Ricci Fare comunità, la guerra e il periodo in cui visse a Parigi a contatto con gli esistenzialisti ne formarono il carattere e lo spirito comunitario, che ritrova successivamente nell’amico Vinay. La grande dote di Ricci è stata la capacità relazionale dello spazio, espresso attraverso il disegno degli ambienti comuni ad Agàpe e Riesi, realizzando il tema stesso del fare comunità attraverso l’architettura mettendo in relazione lo spazio, le persone e il contesto naturale.
“Costruire su questa terra – scrive Ricci – è costruire nel regno dei cieli. Le mura che noi eleviamo di pietra e di calce, conquista faticosa e amorosa, saranno distrutte, ma noi le ritroveremo insieme al di là della morte terrena. Caro Vinay – continua l’architetto – l’articolo che mi hai chiesto si trasforma in una lettera a te diretta, amico diletto, che fai tanta parte della mia vita, perché con te, sento oggettivizzata e realizzata quella fratellanza umana che noi tentiamo invano, per nostra debolezza, di realizzare con tutti gli uomini che ci circondano, siano essi magari assassini o prostitute”.
Questo testimonia l’affetto e la condivisione, tra Vinay e Ricci, dello stesso ideale per fare comunità, il primo attraverso il pensiero spirituale e politico, il secondo attraverso la ricerca architettonica.
4. Il progetto
“Costruire per Agàpe è sapere che il terreno su cui si getta il seme é fertile, che é arato continuamente e lievitato da uomini come te [Vinay], che i mietitori sono dei giovani che attendono ed hanno bisogno del frutto che nasce dalla terra. Cosa stupenda e gioiosa. Per Agàpe tutto il resto non ha valore. L’orgoglio dell’architetto non esiste più. E’ un affidarsi completamente. Io non ho a disposizione mezzi, mancano i materiali che forse vorrei, non ho maestranze specializzate[…] Eppure, è la prima volta che sento di costruire per una cosa vera, reale. E’ per questo che io sento che costruiremo a pezzi e con errori, forse, ma facciamo tutto quello che possiamo ed il risultato sarà bello perché risultato di una cosa amata da tutti”. Leo Ricci
Agàpe è la prima opera di Leonardo Ricci, in cui l’architetto dimostra già la capacità di creare tensione tra il dentro e il fuori, tra i pieni dei setti in pietra e i vuoti delle grandi vetrate, per consentire alla luce di modellare gli interni, disegnando visuali verticali sulle montagne circostanti. Ma Agàpe è soprattutto la concretizzazione del pensiero spirituale e politico espresso da Vinay: rappresentare le istanze della giovane generazione uscita dalla guerra frastornata e disorientata, vogliosa di prendersi il futuro. La partecipazione dellɜ giovani volontariɜ, provenienti da tutto il mondo e appartenenti a diverse confessioni religiose, dimostra l’universalità dell’opera di Vinay attuata da Ricci per fare comunità. Gli schizzi della fase iniziale, provenienti dall’Archivio Casa Studio Ricci, evidenziano la ricercata relazione con il paesaggio.
“All’esterno e all’interno di Agàpe – scrive Ricci – è uno sfociare e un ritornare verso e dalla comunità. C’è il posto per l’individuo solo, per il piccolo gruppo di individui che si scelgono, per la famiglia, per la comunità completa”.
La pubblicazione in Europa delle opere di Frank Lloyd Wright ha influenzato moltɜ architettɜ italianɜ, declinando una versione diversa dell’architettura organica di cui Ricci fu uno dellɜ principali interpreti. Così Ricci compone un organismo che “inizia la sua vita con l’aderire alla natura che lo circonda”, enfatizzato dal suo radicamento alla terra attraverso una distribuzione orizzontale delle funzioni, pur in un contesto orografico verticale. Questo atteggiamento costituisce l’elemento originale della poetica architettonica ricciana insieme al percorso, sia nei collegamenti tra lo spazio destinato alla sala riunioni e le tre casette dove alloggiano lɜ partecipanti ai campi, sia nel disegnare la forma del paesaggio a livello del suolo. L’uso di materiali poveri (pietra, vetro, legno) definisce il carattere essenziale dell’architettura a Prali e ritorna anche a Riesi nel Villaggio Monte degli Ulivi. I disegni, provenienti dal Fondo Ricci del Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma, rappresentano la prima versione del progetto che verrà modificata da Ricci stesso durante il cantiere.
5. Il cantiere
La scelta di fare Agàpe nasce durante il campo giovanile che si tiene nell’agosto 1946 a Prali. Vinay fonda nello stesso anno la rivista Gioventù Evangelica, con lo scopo di dar voce al movimento giovanile speranzoso nel futuro che, lentamente, si andava formando e radicando. Il processo che ha portato alla realizzazione della comunità di Agàpe parte dalla raccolta dei fondi e dal ricorso al lavoro volontario, come testimoniano ancora una volta le parole di Vinay:
“[…]un’unione giovanile promette dei minatori per far saltare le rocce e darci delle pietre, altri promettono degli elettricisti, altri ancora degli infissi per le finestre e serrature…le offerte maggiori furono fatte dai giovani di Perrero-Maniglia che si impegnarono a fabbricare da se stessi 250 quintali di calce, e dai giovani di Prali, di Fontane e Rodoretto, che s’impegnarono a tagliare un notevole numero di larici (donato dal Comune) e a trasportare al cantiere il legname ricavato”.
All’inizio, nel giugno 1947, il primo gruppo era costituito da quaranta giovani, a cui si uniscono lɜ volontariɜ internazionali grazie all’opera di divulgazione del progetto portata avanti da Vinay nelle molte assemblee, sia all’interno che all’esterno della Chiesa valdese. A Prali la prima difficoltà consiste nell’individuazione del sito che deve essere soleggiato e di una certa dimensione per contenere il ‘villaggio’ e non essere vicino alle altre case del paese. Viene così individuata l’area di Crô a 1500 metri di altitudine, con una vista panoramica sulle montagne. La prima idea del progetto é dell’ingegnere valdese Nino Messina e, solo in un secondo tempo, Ricci offre il suo contributo. Così si suddividono i compiti: Messina la parte strutturale e la direzione del cantiere, Ricci il disegno architettonico.
Al cantiere partecipano indistintamente adultɜ e adolescenti, donne e uomini, con un unico scopo: costruire la comunità, come dimostrano le fotografie presenti nell’Archivio fotografico valdese.